Dopo aver fotografato la nabulosa Trifida, nella notte tra il 30 e il 31 luglio scorso, ho deciso di lanciarmi su un altro oggetto australe: la nebulosa Elica, una planetaria che si trova nella costellazione dell’Aquario. Essa ha circa la stessa declinazione di M20 e quindi analoghi sono i problemi per via dell’altezza sull’orizzonte.

Nebulosa Elica (NGC7293)La nebulosa planetaria dell’Elica è ciò che resta dopo la fine del ciclo di vita di una stella con massa paragonabile a quella del Sole. Quando stelle così piccine (per mo’ di dire!) terminano la combustione dell’Elio in Carbonio (dal quale riescono a produrre anche altri elementi leggeri come l’Ossigeno e lo Zolfo) si gonfiano finché gli strati più esterni non si disperdono nel cosmo circostante assieme agli elementi prodotti dalla stella, formando la nebulosa. In alcuni testi divulgativi l’evento è chiamato “morte della stella” ma non ho mai sopportato questa espressione, per due ragioni: primo, è un caso di antropomorfizzazione; secondo, anche se accettiamo per un istante e con le dovute cautele di trattare la stella come se fosse un animalaccio strano, essa non è affatto morta! Anzi, è visibile nella fotografia, al centro della nebulosa, novella nana bianca!

La nana bianca è una stella piccola e caldissima, in pratica è il nucleo della stella nella fase precedente. Nel suo caso a bilanciare la gravità (e quindi a evitare che la stella collassi) non c’è la pressione della radiazione prodotta dalle reazioni di fusione nucleare, come nel caso delle stelle standard, ma entra in gioco un altro fenomeno fisico, la pressione di degenerazione elettronica. Cercherò di dare qualche dettaglio sul fenomeno, che ha le sue basi teoriche nella teoria quantistica.

Nell’universo in cui viviamo, la materia si presenta in alcuni stati: tutti conosciamo i solidi, i liquidi e i gas, ma è meno noto che questi non sono che alcuni degli stati possibili! Ad essi vanno aggiunti almeno i plasmi (gas così caldi che in essi gli elettroni sono stati strappati dai nuclei degli atomi e se ne vanno in giro liberamente) che compongono le stelle normali, i condensati di Bose-Einstein (uno stato della materia molto strano che è responsabile di alcune proprietà incredibili di certe sostanze come i superconduttori e i superfluidi) e la materia degenere, che è quella di cui sono fatte le nane bianche e le stelle di neutroni.

Tutto sorge dal fatto che alcune particelle in talune circostanze non ne vogliono proprio sapere di star vicine ad altre loro simili, indipendentemente dal fatto che abbiano carica elettrica o meno (ad esempio il celeberrimo neutrino, che non ha carica, cerca comunque sempre di svignarsela quando ne incontra un altro). È un po’ come se in un’enorme capannone il cui pavimento è fatto di blocchi di cemento di dieci metri di lato ci fossero delle particelle “festaiole” che vogliono assolutamente stare tutte nello stesso posto, condividere tutto con gli amici, fare la ola quando parte la canzone che gli piace (queste particelle sono i bosoni) e altre particelle “solitarie” che se ne stanno ciascuna nel loro quadrato, respingendo chiunque cerchi di entrarci e tentando la fuga appena si apre una porta (si chiamano fermioni). Gli elettroni appartengono alla seconda categoria, come del resto anche i protoni, i neutroni, i neutrini. Sono invece bosoni i fotoni, le particelle della luce. L’origine teorica di questa differenza così radicale è nascosta nella indistinguibilità delle particelle e nella conseguente imposizione di una simmetria delle equazioni rispetto ad un loro scambio.

Quando la stella termina il processo di fusione nucleare, la gravità non più controbilanciata tende a farla implodere. Durante il processo il plasma della stella, e in esso gli elettroni, viene sempre più compresso; ad un certo punto i solitari elettroni iniziano ad essere troppo vicini e reagiscono cercando di allontanarsi (questa è la materia degenere): così facendo generano una pressione di degenerazione elettronica che, per le stelle di massa medio-piccola come il sole, riesce a ristabilire l’equilibrio con la gravità e a fermare il collasso. Il gas soprastante che stava piombando nel nucleo “rimbalza” su questa nuova e solidissima superficie e si disperde nel cosmo: si sono formate la nana bianca e la nebulosa planetaria!

Dopo questa lunghissima parentesi sulla fisica dell’evoluzione stellare, nata per giustificare perché non ritengo appropriato il modo di dire “morte di una stella”, dirò solo che c’è un’altra ragione per cui quest’espressione è fuorviante: il gas espulso, cioè la nebulosa planetaria, è ricco di elementi leggeri come il carbonio e l’ossigeno, che nella fotografia riluce con una tonalità azzurro-verdastra, i quali sono la base per il successivo sviluppo della vita nei sistemi stellari che si formeranno a partire dai gas e le polveri del tipo della nebulosa Trifida, nei quali la nebulosa planetaria si sarà infine dispersa: chiamare morte un così poetico evento sembra proprio fare un dispetto al cosmo!

Ma torniamo alla fotografia: è il risultato di 1h17′ di esposizione divisi in pose da circa 6′ a 1250 ISO, con gli stessi strumenti della foto precedente. Siccome di solito si è abituati a vedere questa nebulosa con i falsi colori del telescopio spaziale, ne ho prodotto una versione che imita quei colori e che rende l’oggetto più riconoscibile rispetto a quanto ci si immagina di solito: la trovate qui.

Tra poco inserirò anche l’ultima fotografia, scattata la notte scorsa.